sabato 2 Dicembre 2023
Home2009 - MacugnagaIntervento a Macugnaga 2009

Intervento a Macugnaga 2009

Macugnaga, 24 Agosto 2009
Il mio breve intervento vuol mettere in evidenza ciò che, qui e là, è trapelato in questi incontri. Mi sembra che uno spettro si aggiri per i diversi rivoli della proposta di discussione filosofica di questa’anno, ovvero i rapporti fra filosofia e potere politico e che secondo me ha bisogno invece di essere messo in assoluto rilievo. Questo spettro è la dimensione attuale che ha raggiunto la tecnica nei nostri giorni.
Gli strumenti tecnologici hanno permesso di raggiungere una pervasività nelle faccende di tutti noi, da quando ci svegliamo fino alla notte, e oltre.
Mi sorprendo spesso a pensare, a mò di esperimento mentale, come possa risultare sorprendente per un grande – ad esempio Dante ma potrebbe essere Platone o chiunque vogliate di un non recente passato – che entri in una stanza, di sera, e accenda l’interruttore della luce. Io, al loro posto, mi sentirei in uno stato di piccolo shock. L’esempio è fin troppo semplice. Potremmo considerare l’utilizzo del computer con la sua capacità di memorizzazione oppure la possibilità di comunicare tramite Internet. Alberto ha ri-ascoltato con piacere i “Promessi Sposi” con l’i-Pod. Io ho prenotato per questa settimana filosofica tutto on-line (con qualche piccolo inconveniente…). Siamo arrivati in macchina, abbiamo preso la seggiovia, ecc. La domanda più ovvia è se potevamo fare diversamente. La risposta secondo me è NO. Ed è proprio questo il punto da cui bisogna partire per riflettere anche sulla natura del potere e del ruolo dei filosofi nei tempi inquieti che stiamo vivendo.
Secondo l’excursus proposto da Elio, nel passato molti grandi pensatori si sono scontrati con il potere istituito, pagando a caro prezzo la loro libera espressione di pensieri. Adesso, ci suggerisce sempre Elio, il potere continua ad essere coercitivo, anche se in modo più soft. Però secondo me tale visione lambisce un più grave problema. Diciamolo chiaramente, e lasciamo stare le rarissime eccezioni: i filosofi non sono più pericolosi e i politici non sono più efficaci. Le scuole filosofiche non vengono chiuse, i pensatori non vengono arsi o imprigionati a vita, di politici con tante “apparenti” e divergenti proposte ne contiamo a iosa, già solo nel nostro paese. Ma di vere visioni del mondo sembra che si sia persa la traccia. Mi sembra questo un dato difficilmente controvertibile. Filosofi e politici coesistono tranquillamente come mai nel passato. Probabilmente entrambi non sono più così importanti… Domandoci dunque il perché.
La risposta io la trovo lungo la scia di quella riflessione sulla tecnica che è iniziata alla grande con Heidegger, ha proseguito con altri come Gunther Anders, e in Italia con Severino e Galimberti. Proprio da quest’ultimo traggo le seguenti coordinate, che mi convincono: l’uomo, così povero di istinto rispetto agli esseri viventi, in particolar modo agli animali, si è poggiato – da sempre – sulla sua sopravvivenza proprio sulle escogitazioni tecniche che gli permettevano la capacità di percepire nuove possibilità fra le cose “utilizzabili”. Tale capacità la chiamiamo intelligenza. Prometeo, colui che vede in anticipo, ne rappresenta l’emblema.
Fino a poco tempo fa ci si era illusi che il cosiddetto “progresso” potesse essere gestito dalle volontà umane (il progresso hegeliano – a cui ha accennato Alberto – è forse più inconscio). Ma quando tale illusione è venuta meno, ci si è presentato davanti uno scenario di cui ancora stentiamo a delimitarne i confini. Siamo immersi nella tecnica, nei suoi prodotti, in quel frutto di oggettivazione prepotente che ha guidato la storia occidentale ad “afferrare” il mondo e a permeare di sé l’intera dimensione planetaria. Ormai tutti, anche gli orientali, sono o ambiscono ad essere occidentali. Ma l’Occidente è terra del tramonto, e forse la filosofia – la condottiera di questa trionfale campagna di conquista della terra – e la politica, che comunque si è mossa al seguito di grandi idee filosofiche, se guardiamo con occhi macroscopici la storia (ad esempio, basti pensare all’idea così pervasiva e convincente che è la “democrazia”), hanno perso i loro importanti ruoli. Anche loro, filosofia e politica, debbono considerarsi al tramonto. Non sono annullati, va bene, ma sicuramente devono essere ripensati.
La tecnica, si è scoperto (ovvero adesso ne siamo consapevoli) è l’essenza dell’uomo. La razionalità, così tanto esibita e cercata, alla fine trova il suo approdo nella creazione di strumenti utili. La scienza stessa è al servizio della tecnica. Lo strumento, ci eravamo illusi, era solo un mezzo, adesso è un fine. Non si danno fini esterni alla tecnica, e questa vuol indefinitamente aumentare di quantità e di prestazioni. E’ chiaro che la stessa etica viene intaccata alla radice. Non c’è più bisogno di proporre ideali, principi dell’azione, ecc. E trascina, l’etica, nella sua caduta, tutte le religioni positive. La ragione diventa procedura strumentale, la verità dipende dal fare tecnico, e consiste solo nell’efficacia, le ideologie crollano, mentre la tecnica semplicemente si aggiusta (compie solo errori, ma non è falsa), ovvero è perpetua.
La politica stessa – ed questo uno dei nostri argomenti – può decidere solo in subordine all’assetto economico e finanziario, che in sostanza sono definiti dal più generale apparato tecnico. La politica, facciamo attenzione, era definita da Platone, come “tecnica regia”! La politica ancora sussiste la dove ancora non è arrivata l’organizzazione della tecnica. Se allora il mondo della vita dipende dall’apparato tecnico, l’uomo diventa un funzionario di quel moderno leviatano che è appunto la tecnica. Domandiamoci: come è stata resa possibile la cultura di massa, perché i più terribili totalitarismi sono apparsi solo di recente, perché non sentiamo il bisogno di dirci che siamo alienati da noi stessi perché stiamo apparentemente e complessivamente bene, grazie agli strumenti che ci circondano? Potrei continuare ma non voglio annoiarvi con un problema che invero mi appassiona molto.
Ho ascoltato Alberto, che quasi en-passant, mi ha permesso di scorgere una possibile soluzione per vivere adeguatamente la tecnica, cioè l’uomo, come corpo, può attingere alle strumentazioni, come appendici protesiche che aumentino in lui le possibilità di interazioni con il mondo. Vorrei capirne di più, per questo mi accingo a leggere con slancio il suo testo: La mente temporale, soprattutto l’ultima parte, là dove parla delle delusioni della Intelligenza artificiale e delle prospettive di ibridizione fra uomo e macchina. Qui mi fermo, perché ho ancora idee vaghe. Mi è però chiaro che il problema della tecnica è un problema ineludibile per l’uomo che non solo si è presentato qui nelle nostre argomentazioni su filosofia e politica ma temo che si presenterà – come spettro – anche nelle proposte filosofiche successive.
Una piccola notazione a margine. Non c’è dubbio che le argomentazioni di Alberto riscaldino i nostri animi in modo considerevole e questo me lo spiego perché Alberto ha la capacità rara di vivere ancora la filosofia non solo come un modo d’essere (ciò è presente peraltro con la stessa intensità in Augusto ed Elio) ma soprattutto come atto fondante dell’esistenza consapevole. Al di là delle adesioni alle sue tesi, dobbiamo essergli grati per la riproposizione di questo atteggiamento bimillennario della filosofia di dare una ragionevole fondatezza – basata sulla finitidine dell’uomo – all’essenziale mistero del perché siamo vivi. Gli rivolgo però una domanda fenomenologica che mi ha inseguito in questi giorni. Alberto, hai insistito molto – è chiaro – sulla dimensione totalizzante del nostro corpo come essenzialità del nostro essere umani. Senza corpo non siamo. Siamo tutto corpo. Hai citato il Nietzsche di Zarathustra. Nietzsche, il grande Nietzsche, il povero Nietzsche… Sicuramente hai presente quei pochi secondi di video – presenti su YouTube, a proposito di tecnologie… – che riprendono Nietzsche malato seduto, la mano leggermente tremante poggiata sulla sedia, uno scialle che lo avvolge ma non lo riscalda, lo sguardo tranquillo e allo stesso tempo perso… Tali immagini sono per me molto forti e più volte è scaturita in me una grande commozione. Ebbene, ti chiedo, quello è Nietzsche, quello è il corpo di Nietzsche, è tutto là? Cosa trovo nei suoi occhi, come potrei riuscire a comunicare e a domandare? E’ semplicemente un’altra dimensione intellettuale quella che il corpo di Nietzsche mi offre oppure il “vero” Nietzsche non c’è più? Ti chiedo questa domanda con la consapevolezza, da parte mia, che è una chiara domanda fenomenologica e che quindi non rimanda a qualche altra cosa (ad esempio all’anima, ecc.).
+ posts

3 Commenti

  1. Ringrazio di cuore Salvatore per aver riproposto qui le riflessioni che ci aveva donato in tempo reale a Macugnaga. E grazie a Guido per la tenacia con la quale si interroga e ci interroga.
    Non mi dilungo anche perché conoscete le mie posizioni sulle questioni che sollevate.
    Si tratta di problemi essenziali per dare un senso alla nostra esistenza individuale e collettiva.
    In questo denso sito stiamo cercando, insieme, di capire in che cosa tali domande consistano e quale sia la via -il methodos– per chiarirle a noi stessi e agli altri. Grazie dunque.

  2. Caro Guido,
    innanzitutto auguri e mi fa piacere che ti fai risentire, nel nostro sito. Allora, tu proponi due questioni:
    1. la dominanza e pervasività della tecnica, come un mostro esterno all'umano;
    2. l'impotenza del pensiero dinnanzi agli eventi, addirittura atavica nella storia della filosofia, che suggerisce all'uomo solo la via della rassegnazione.
    Rispondo al primo punto:
    vero, io penso che il mondo della tecnica, che trova le sue radici addirittura nella metafisica bi-millennaria dell'occidente, come ci ha insegnato Heidegger (e su questa scia troviamo Severino, Galimberti e altri), abbia modificato lo stesso essere dell'uomo, che non è dato una volta per tutte, ma viene plasmato dagli eventi.
    Tu non sei lo stesso uomo di duemila anni fa! Tu vedi, percepisci, deduci, ecc. in maniera diversa. E non potrebbe essere diversamente. Pensa a quanti gesti 'tecnologici' fai durante il giorno pensando che siano naturali: accendispegni la luce, ti radi la barba con il rasoio elettrico, premi lo sciacquone  del bagno dopo…, giri con l'auto, ascolti la radio, guardi il meteo via televideo (?), comunichi con Salvatore e gli altri amici della vacanze filosofiche:-) con modalità assolutamente virtuali, e potrei non finire più! Te lo immagini il pensiero di Aristotele o di Platone adesso? Rimarrebbe tale e quale? Io penso proprio di no! E pensa ancora fra 100-200 anni…
    Come evitare di pensare che la tecnica, prodotta pur sempre dall'uomo (non è una entità altra, su questo siamo d'accordo), ci sovrasta, ci condiziona anche a livello ontologico? Ne va della nostra esistenza.

    Vengo al secondo punto.

    Qui, caro Guido sbagli. I veri filosofi, i pensatori in generale (oserei dire anche i grandi mistici) sono sempre stati legati al reale e hanno cercato di dare una direzione alle cose. Non voglio qui citare Marx e altri. Il problema è se questa volontà di direzione possa ottenere risultati sicuri una volta che l'obiettivo è fissato.
    Caro Guido, mettiamo che tu voglia cambiare il comportamento dei politici, sei sicuro di riuscirci? Mettiamo anche che ti aiutino in tanti, chi ti assicura che non prevalga, dopo un pò, l'individualismo di ciascuno?
    Pertanto chi pensa sa quanto è dura la presenza del pensiero nel mondo. Dai filosofi emerge soprattutto lo sguardo attento sul mondo, non tanto il loro operare politico. Li confonderemmo con i politici stessi. Quindi bisogna mettersi d'accordo: chi vuol fare filosofia deve rendere intelleggibile, se è possibile, il mondo, oppure dare indicazioni (morali, ideologiche, volontaristiche, ecc.) ai proseliti? Io penso decisamente che valga la prima opzione. Pensa alla grandezza di una massima di Epicuro, se non sbaglio: "Vivi nascosto". Secondo me un politico se lo augura, ma non ci riesce!
    Infine, per quanto riguarda Prometeo, la grande figura intuita dai greci che ci riconduce alla nostra storia come tecnica, fu quello che fece adirare gli dei. Il “fuoco” dato agli uomini, ricordiamocelo, oltre che a riscaldare, brucia.
    Con affetto, e buon anno
    Salvatore

  3. Caro Salvatore, ti vedo dritto sulle orme di Galimberti e Severino, che della tecnica da tempo hanno denunciato la fatale pervasività se non tirannide. Ho due appunti a riguardo che farei anche a loro.
    Il primo attiene alla presunta “incarnabilità” della tecnica in un “Leviatano”, di cui tu stesso parli apertamente, come di una forza esterna all’essere e all’uomo, oggettiva e addirittura cosciente e volontaria. Stento ad ammettere che la tecnica possa diventare un ente in senso stretto, quasi un superuomo. Per definizione, non può sussistere esternamente al suo mero significato, che era e rimane di pura descrizione funzionale degli strumenti di sopravvivenza (inclusi quelli di comunicazione, per l’asservimento della potenza e dell’energia, per curare e prolungare la vita ecc). Oserei dire che non può intrinsecamente assurgere a fine, a meno che “qualcuno” non lo faccia per essa. Qui sento uno strano parallelismo col divino, ma la differenza spicciola e decisiva, mi pare, è che Dio è essenzialmente un soggetto esterno e padrone (creatore) dell’essere.
    Vengo alla seconda questione. Anche tu, come fanno i due summenzionati, sembri assumere di fronte a questa indubbia minaccia al divenire dell’uomo un atteggiamento di distacco, di spettatore impotente e rassegnato. Mi devo ripetere ma, con tutto il rispetto, ancora sembra emergere quella cronica, deleteria e forse colpevole estraneità se non apatia politica del filosofo, che non ritiene o non vuole reagire in prima persona. Come se la sua missione fosse solo quella di intuire, evidenziare, prevedere e paventare disastri e non quella di operare concretamente, direttamente e perciò politicamente per evitarli.
    Inutile sarebbe poi recriminare e piangere sulle tragedie che l’uomo qualunque, poco o nulla pensatore, ma molto astuto e pragmatico (certo Silvio per esempio), può produrre grazie alla tecnica (telecamere, palinsesti, antenne ecc), alla stessa economia (sua sorella gemella come dice Galimberti) e col sostegno e il beneplacito della “volgare ma condivisa” democrazia.
    Forse aspettiamo e ci illudiamo che capisca il rischio incombente quella fatidica e acritica maggioranza, che si bea e si perde negli Ipod e nei navigatori vari? O, peggio, speriamo che il Tom Tom si trasformi per incanto in un toc toc sulle teste delle bestioline pseudo pensanti che lo smanettano?
    Prometeo non fu solo consapevole e avanti nel tempo, ma diede “concretamente” il fuoco agli uomini e gli insegnò ad utilizzarlo … E se il fuoco fosse oggi come ieri e come sempre l’intelletto e il pensiero?
    Ciao ciao e auguri, il vostro Guido Martinoli

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Articoli recenti

Uno spazio per le ‘cenette filosofiche’

Nel sito 'Filosofia per la vita', che vede la partecipazione di noti filosofi-consulenti italiani, è stata recentemente creata una sezione apposita per gli amici...

Finitudine fra le note

Commenti recenti

NEWSLETTER

ISCRIVITI PER RICEVERE LE NOSTRE NEWS!

Non inviamo spam! Leggi la nostra Informativa sulla privacy per avere maggiori informazioni.

Ultime dai siti/blog dei nostri amici

2022 - Camigliatello (2)

41 photos
2 views

2022 - Camigliatello

55 photos
47 views

Archivi