Che c’è laggiù?
Si tende a confondere l’essere con l’esistere. In realtà sono “abissalmente lontani” e qualitativamente diversi. Interpretando l’etimologia, un buon approccio è considerare l’essere come l’oceano e l’esistere come le terre emerse, che precariamente e provvisoriamente fuoriescono e galleggiano prima di reinabissarsi.
Esistere, infatti, viene da “ex sto”, cioè stare fuori, sporgere, uscire da qualcosa. E’ proprio del tempo e dello spazio, il cronotopo, la tipica dimensione immanente, che comprende anche l’eterno e l’infinito e che forse è destinata a scomparire o a trascendere nell’essere “sottostante o circostante”, il quale ha certo orizzonti ulteriori ma, ahinoi, misteriosi e sconosciuti.
Esistere come oscillazione finita dell’essere, come sua “vacanza”, intermezzo e …. chissà, forse sconfitta o espiazione. Se tale visione regge, ne deriva che quelle terre c’erano, sono (esistono) e saranno: stanno sotto, poi sopra e infine sotto in continuo divenire. Essere, esistere e ancora essere.
Un ciclo perciò, dove più esattamente “l’esistere è l’emergere degli essenti dal gran mare dell’essere”.
Tutto ciò che esiste deve “prima” (logico e non cronologico) essere, viceversa non tutto dell’essere esiste.
A livello emotivo pare azzardabile che l’esistere sia una bazzecola in confronto all’enormità dell’essere, il quale lo comprende insieme a tutto il resto e cioè ad ogni altro ente pensabile (già pensato o pensaturo), seppure sommerso e dunque inesistente. Innumerevoli entità si agitano tra quei cavalloni increspati, pronti a “esistere atterrando” o a risprofondare negli abissi inaccessibili.
Questa visione, che da un lato certo ci angoscia, dall’altro e in positivo ci chiarisce, nel senso di situare, sia ciò che esiste, sia tutto ciò che non esiste ma c’è in quanto pensabile. Da qualche parte deve pur stare e se non può affiorare ed esistere (per ora) ecco che potrà stare almeno sotto, nell’essere.
Adesso possiamo compiutamente affermare che “ci sono” le idee e i sentimenti ma anche l’asino che vola, l’ippogrifo, la Medusa e lo stesso Dio creatore con gli angeli e i diavoli e, si badi bene, senza dover scomodare la fede. “Sono” nella nostra mente, nei miti, hanno un nome, una storia, addirittura una funzione e un fine. “Sono puri concetti” e non è detto che esistano cioè che emergano dall’essere prima o poi. Per quello c’è la fede. Lo stesso vale per i grandi della storia e per i nostri defunti, che non esistono più, ma “sono in noi” attraverso il ricordo.
Agli albori della filosofia, già Parmenide intuì che l’essere è tutto ciò che è immaginabile fino al mitico “l’essere è pensiero”. Qualsiasi cosa appartiene all’essere se, come concetto, “è” nella nostra mente.
Ma una domanda s’impone: allora l’essere dipende dal pensiero? C’è solo se è pensato? Più filosofi si sono cimentati sulla questione, ma la risposta appare negativa, giacché il pensiero, essendo un nostro attributo, come noi esiste e dunque non può che “essere già stato” e dunque dipendere esso stesso dall’essere.
Quindi l’esserci degli enti è una loro peculiarità, che non necessita di essere pensata da chicchessia. Cotanta “pensabilità” è nostra e può essere metaforica, funzionale e financo pensata, ma “non è essenziale” all’essere. L’essente è e si regge in sé, anzi, nulla osta che possa stare anche oltre, nell’impensabile.
Ed ecco alfine l’essere totale, che, avvolgendo in se l’esistere, il pensabile (compreso il nulla) e l’impensabile, parrebbe sconfinato e onnicomprensivo. Eppure un limite ancora s’impone, qualcosa gli sfugge ma siamo tenuti a darlo almeno dialetticamente e apofaticamente (in antitesi). Si tratta del “non essere” cioè di ciò che non esiste, non è pensabile e non è neanche impensabile.
Ovviamente alcune interpretazioni di queste dinamiche “ontologiche” ce le offrono le religioni.
Le proposte cristiana, islamica, ebraica, buddista, induista ecc, raccontano della vita di quelle terre emerse e delle cose ultime, quelle dopo la morte sia dell’individuo (personale) che del mondo (universale).
Non raggiungono però (e lo sanno) il fondo estremo dell’essere, dove cogliere, se c’è, la ragione fondante dell’esistere (logos). Protraggono il divenire, talvolta spingendosi oltre la fisica (spazio e tempo), sfiorando il trascendente ma senza varcarlo. Non riescono a conquistare quell’Unicum onnicomprensivo, ineffabile ed esaustivo che infine può “risolvere l’arcano”. E’ ancora da progettare e costruire, ahinoi, quel potentissimo meta-batiscafo che, varato dalle misere spiagge dell’esistere, potrà scendere laggiù, negli abissi inviolati dell’essere, per scoprire ogni sua profondità e verità.
Buon viaggio.
Ingegnere con la passione della filosofia!
Sono convinto che per recuperare un più consapevole pensiero pensato sia indispensabile tornare al pensiero pensante
Torniamoci torniamoci, qual’è il problema?
Le proposizioni “tutto appartiene all’essere” e “l’essere appartiene a tutto” si spiegano entrambe riferendosi al verbo “essere” e non ad un inesistente sostantivo. Senza pensare questo nella sua funzione di verbo non facciamo altro che giochi di parole, e così creiamo sostantivi e aggettivi che non hanno nemmeno la consistenza di ciò che viene pensato. Se poi aggiungiamo il verbo “esistere” la confusione aumenta e i giochi si moltiplicano. Per cortesia, non dimentichiamoci mai del verbo per cui tutte le cose pensabili sono!
Caro Guido, meditando su alcune questioni da te sollevate nella tua weltanschauung, vorrei un tuo commento su alcune considerazioni che ho tratto da un breve saggio di Maurizio Penzo sul “nascondimento dell’essere nella filosofia di Heidegger”. Mi chiedo: come è possibile cogliere il senso dell’essere, e quindi comprenderlo, se la domanda rimane pur sempre costretta nei limiti di un linguaggio e quindi inadeguata allo scopo che si prefigge di raggiungere? Non avera forse ragione Parmenide a dire che è presente l’essere presente; ovvero: l’essere è dato, svelato, manifesto, qui e ora e già da sempre?
“Nella sua unica intervista televisiva, Heidegger diceva che “il segno più caratteristico del destino in cui noi ci troviamo [ la dimenticanza della questione dell’essere ] è -per quello che riesco a vedere – il fatto che la questione dell’essere, che io pongo, non è stata ancora compresa.
Sempre altro dall’ente presente e dalle parole che lo dicono, l’essere impedirebbe al discorso di chiudersi e di cogliere in qualche modo delle verità ad esso esterne, costringendo le parole a rilanciarsi in sempre nuove interpretazioni il cui unico fondamento è la tradizione linguistica da cui provengono e da cui sono sollecitate”
Claudio Merlo
Caro Claudio, nonostante la mia incompetenza su Heidegger (che altri in quel di Palermo certo conoscono meglio) ma stando alle tue annotazioni, non posso che essere in accordo sull’attuale nostra incapacità di cogliere l’essenza e il senso dell’essere. Senza riuscirci, anch’io ho provato a definirlo, ma, in mancanza di meglio, ho dovuto associarlo alla nostra risorsa più potente senza essere assoluta che è il pensiero e, sulle orme di Parmenide, ho sottoscritto che l’essere è tutto ciò che è pensabile o impensabile, e dunque il pensato, il pensaturo fino all’impensaturo. Eppure così facendo sono restato ingabbiato dal linguaggio, che resta uno strumento intrinsecamente dualistico, separatore, solo funzionale e dunque insufficiente. Nello specifico non potevo sfuggire all’antitesi dialettica, per la quale ogni parola ha il suo opposto e dunque anche cotanto essere, per quanto esaustivo e onnicomprensivo non potrà mai essere o comprendere la sua antitesi cioè il non essere. Irrilevante che tale antitesi manchi di sostanza o di essenza e che sia impensabile o inaccessibile. C’è apofaticamente e in forza della logica, che fonda a monte lo stesso linguaggio. Temo dovremo andare oltre, anche oltre il pensiero ma non chiedermi dove o con che cosa. Anche la logica pare non bastare …. Ci sarebbero i sentimenti, la fede, il sogno ecc ma tutti ne conosciamo fin troppo bene i limiti. Per inciso, se l’essere è pensiero, val la pena risottolineare che anche il trascendente, la metafisica, Dio, l’asino che vola o ogni altra “fanfaluca”, in quanto perfettamente pensabili e immaginabili, appartengono all’essere e non al non essere, che resta drammaticamente …….. vuoto.
Intanto pensiamoci, Guido
Oltre la galleria ciclabile c’è un cespuglio di more: solo qualche frutto! Di più non è concesso: un solo istante, divina memoria della rivelazione dell’essere, emerso misteriosamente dal profondo del suo abisso muto e silenzioso.
Scusate ma sono le prime volte che scrivo .Sopra quello che sto scrivendo non riesco a capire che cosa vuol dire bentornato simonetta attinelli.Cambia
io semplificherei dicendo:innanzitutto c’è l’Essere?caro Guido tu dai per scontato che ci sia e dai l’impressione di saperlo almeno definire mentre molti pensatori si sono chiesti se questo Essere ci sia. Coloro che hanno ritenuto che esista o non esista hanno cercato di dimostrarlo invano. Io ritengo che, data la distanza ,come dici tu,abissale tra l’Essere e l’esistente, è molto improbabile che l’esistente possa raggiungere ,come vorresti tu l’Essere. Aggiungo: se l’essere c’è comprende tutto tranne il non -essere perche si violerebbe il principio di non contraddizione P:S. che differenza c’è per te tra l’essente di cui parli che si regge in sè e l’essere totale?un caro saluto
simonetta
Cara Simonetta, grazie.
Non so se chiedersi se c’è qualcosa, l’essere o il non essere, voglia dire semplificare ….. forse è il contrario.
L’essente per me, è ciò che è, anche se non è pensato. Per esempio qualcosa che noi penseremo in futuro o che resterà comunque impensabile. Per questo è difficile dire cos’è ma in ogni caso appartiene a quell’essere totale di cui parli.
Avendo già problemi a definire qualcosa dell’essere, ancor più arduo è definire il non essere e per ora mi limito alla più banale delle possibilità, che è immaginarlo come ciò che non rientra nelle tante accezioni dell’essere che abbiamo testé visto.
Continua a sussistere frattanto un’ennesima dimensione che potrebbe o dovrebbe trascendere e unificare sia l’essere che il non essere.
Ciao e grazie Guido.