Dopo avere letto e commentato alcuni passi di Platone nel corso di due incontri con i partecipanti alle vacanze filosofiche di Roccaraso, alla fine ho esposto alcune mie osservazioni.
1. Poiché Platone propone un modello ideale di Stato, non sarebbe corretto confrontare questo con le varie realizzazioni politiche. Il confronto corretto è tra modelli politici fra loro o tra realizzazioni fattuali tra loro.
2. Platone, che valorizza la dimensione spirituale dell’uomo, criticava la democrazia ateniese ed elogiava il modello spartano: come mai proprio Atene e non Sparta ha dato il più grande contributo allo splendido sviluppo culturale e spirituale della Grecia?
3. Chi critica la democrazia perché si basa sulla quantità (comanda la maggioranza) e non sulla qualità (comandano i migliori) potrebbe portare esempi storici in cui i migliori hanno avuto il potere? Che io sappia, si arriva al potere solo in base ai numeri o con la forza. Anche prima della rivoluzione francese contavano i numeri (il criterio della quantità precede l’introduzione di un suffragio più o meno ampio): nobiltà e clero contro terzo stato (2 a 1). Che i nobili e gli ecclesiastici superassero per qualità i borghesi è tutto da dimostrare: davvero si è più in gamba perché si nasce figli di re o di nobili (anche l’alto clero era costituito in genere dai cadetti delle famiglie nobili)?
4. Platone stabilisce un parallelismo tra la struttura dell’uomo (anima razionale, irascibile e concupiscibile) e quella della società politica (filosofi, guerrieri, lavoratori). Ma, posto che nell’individuo ci siano per natura queste tre facoltà, si può essere certi che le differenze di doti, e quindi di ruoli, tra i cittadini (per non parlare della massa degli schiavi) abbia un fondamento ugualmente naturale e non dipenda da circostanze storiche? E se Platone e Aristotele non fossero vissuti in un’economia fondata sul lavoro degli schiavi, siamo certi che avrebbero considerato naturale la schiavitù?
5. Platone nelle Leggi, ha abbandonato il progetto della Repubblica: non più il potere ai filosofi, non più abolizione di famiglia e proprietà privata per i governanti. Affida ora il potere non ai filosofi ma alle leggi e propone famiglia e proprietà per tutti: ma se per vivere occorre, per esempio, un terreno di un ettaro, il più ricco non può possedere un terreno che ecceda i sette ettari. Perché appiattire Platone sulla Repubblica senza prendere in considerazione i ripensamenti delle Leggi? Come escludere che Platone abbia cambiato la sua proposta perché, anche dopo essersi confrontato con il giovane Aristotele, si è convinto che non è realistico immaginare governanti capaci di rinunciare alla famiglia e alla proprietà? Resta però il fatto che l’avidità di ricchezze (e qui mi pare che Platone abbia visto bene) è la principale causa dei conflitti: forse per questo pone dei limiti in alto e in basso; la misura della ricchezza può variare ma ciò che conta, mi pare voglia dire Platone, è che non ci sia un’accumulazione di beni da parte dei più ricchi tale da impedire ai più poveri una vita decente; forse lo stesso obiettivo che oggi si vorrebbe raggiungere con un sistema di tassazione progressiva che mira in qualche misura a redistribuire le risorse, non per abolire le differenze ma per dare a tutti uguali opportunità.
6. Di quelli che storicamente hanno preso il potere con la forza o che, una volta eletti, lo hanno conservato abolendo libere elezioni, mi pare difficile dire che siano stati tra i migliori governanti. Hanno imposto una certa ideologia, eliminato le opposizioni e compresso le libertà (in una democrazia, anche mal ridotta, non c’è il consiglio notturno, quella specie di inquisizione proposta da Platone nelle Leggi, e io sono libero di scegliere: cattolico, musulmano, ateo…), tanto che per liberarsene è inevitabile il ricorso alla forza. La democrazia (che favorisce la diffusione dell’istruzione, il pluralismo dell’informazione, la difesa dei diritti delle minoranze…) non potrebbe essere allora davvero il male minore?

Uno dei promotori delle Vacanze filosofiche. Docente di storia e filosofia in un liceo classico di Roma, oggi in pensione, ha coltivato anche gli studi teologici, conseguendo il baccellierato in teologia presso la Pontificia Università Lateranense. Per tre anni ha condotto un lavoro di ricerca sul pensiero antico e medievale in Olanda presso l’Università Cattolica di Nijmegen. Ha diverse pubblicazioni, l’ultima delle quali è il volume collettaneo Democrazia. Analisi storico-filosofica di un modello politico controverso (2016). È autore di diversi articoli e contributi su Aquinas, Rivista internazionale di filosofia, Critica liberale, Il Tetto, Libero pensiero.