Questa presentazione non ha nessuno scopo didattico. Quindi non è completa né tanto meno convincente; gli addetti ai lavori avrebbero molto da criticare. Mi è semplicemente sorta l’idea di presentare agli amici – cioè a voi! – cosa accade, nella musica, quando l’autore vuole incontrare la finitudine e, in una parola che arriva ancora più decisa, la morte. Una parola, permettetemi, che dovremmo imparare a pronunciare con maggiore serenità.
I brani che proporrò all’ascolto appartengono quasi tutti alla tradizione della musica “classica” (seria? colta?, mah). Secondo me non è un caso perché soprattutto la musica “classica” è più vicina all’atteggiamento filosofico, ovvero l’atteggiamento di una posizione radicale dinnanzi ai problemi, metafisici e/o esistenziali. Per carità, anche la letteratura, il teatro e le arti figurative sono pervasi dai temi della caducità e del dissolvimento. Ma penso che sia altamente suggestivo comprendere come anche i musicisti hanno ‘sentito’ (e poi ci fanno sentire) tutto questo. Mi auguro, in cuor mio, di offrirvi delle sorprese.
OUVERTURE
Prima del morire normalmente c’è la vecchiaia, quella condizione in cui la nostra fisicità, la materia di cui siamo (anche?) fatti, cede. I segni del tempo sono avvertiti allo specchio ma soprattutto nei dolori, nei movimenti, e la nostalgia per la potenza precedente spesso può dare origine a uno sconforto, che può essere irrimediabilmente lamentoso, oppure poeticamente malinconico. Nel primo caso troviamo la terribile descrizione che ne dà Kavafis, poeta greco, nel secondo caso, più tollerante, quello di Norberto Bobbio. Leggiamoli come una ouverture.
LE ANIME DEI VECCHI
Qual pena fanno, derelitte, le anime dei vecchi
che penosamente in decrepiti, consunti corpi han dimora:
squallida e penosa vita van menando.
Temono tuttavia di perderla, questa vita, continuano ad amarla
queste anime di dubbi colme e di contraddizioni
mentre vivono, davvero tragicomiche,
in un ossame laido e decrepito.
Le anime dei vecchi, Konstantinos Kavafis
LECTIO MAGISTRALIS DE SENECTUTE
Il mondo dei vecchi, di tutti i vecchi, è, in modo più o meno intenso, il mondo della memoria. Si dice: alla fine tu sei quello che hai pensato, amato, compiuto. Aggiungerei: tu sei quello che ricordi. Sono una tua ricchezza, oltre gli affetti che hai alimentato, i pensieri che hai pensato, le azioni che hai compiuto, i ricordi che hai conservato e non hai lasciato cancellare, e di cui tu sei rimasto il solo custode. Che ti sia permesso di vivere sino a che i ricordi non ti abbandonino e tu possa a tua volta abbandonarti a loro. La dimensione in cui vive il vecchio è il passato.
Norberto Bobbio
(N.B. il tema del ricordo, che colora l’esperienza e gli anni mi pare si possa ricollegare a quanto ci ha ricordato, qualche giorno fa, il nostro amico Massimo, con il testo della canzone ‘Decenni’ di Pasquale Panella, cantata da Amedeo Minghi).
GUIDA ALL’ASCOLTO
Ascolteremo musica. La musica evoca. Vi chiedo quindi un ascolto ‘evocativo’ di qualcosa che riverberi in voi, accantonando un ascolto di tipo ‘intellettuale’. Presento gli otto brani all’interno di quattro parti. Dopo ogni brano propongo una suggestione meditativa. Per carità, comunque non sono esercizi spirituali!! Le quattro parti sono:
- Ultime parole
- Vita d’artista
- Vita vissuta
- Annullamento
Ultime parole
LE ULTIME SETTE PAROLE DI CRISTO SULLA CROCE
Haydn è un compositore del Settecento, che si fa rientrare nel cosiddetto stile classico (insomma, come Mozart). A differenza di Mozart visse più a lungo e godette di ottima fama per tutta la sua vita. Compose un centinaio di sinfonie (alcune veramente molto belle) che gli valsero l’epiteto di ‘padre della Sinfonia’. Scrisse anche molti oratori e musica sacra. Questa che vi presento è musica sacra, un po’ particolare ed eccentrica, Non si basa su oratori sul modello di Bach (le grandi Passioni), Händel e altri (parti dialogiche fra personaggi biblici o del vangelo). Ma è una meditazione sulle ultime parole che Cristo ha pronunciato, come riportato nel Vangelo di Luca:
- Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno
- Oggi sarai con me in Paradiso
- Donna, ecco tuo figlio
- Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?
- Ho sete
- Tutto è compiuto
- Padre, nelle tue mani rimetto il mio spirito
La novità consiste proprio nella piena umanità dei passaggi. Non c’è Gloria, Miserere, Credo, ecc. Ma un’orchestra ridotta (archi e fiati) esegue le sette frasi (sette adagi), dopo che il prete, dal pulpito ha descritto ogni frase. La prima esecuzione avvenne per il Venerdì Santo del 1806. Alla fine, è impressionante il terremoto (da Matteo: «Ed ecco, il velo del tempio si scisse in due parti dall’alto al basso, la terra fu scossa e le rocce si spaccarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi che riposavano, risuscitarono e usciti dai sepolcri, dopo la sua resurrezione, entrarono nella città santa e si manifestarono a molti. Il centurione e coloro che facevano la guardia a Gesù, veduto il terremoto e quello che avveniva, ebbero gran paura e dissero: “Veramente costui era Figlio di Dio”»), dove si presentano dissonanze, frasi musicali spezzate, che avranno sicuramente spiazzato gli ascoltatori di quel tempo.
RIFLETTIAMO?
Cosa pronunceremo noi, alla fine? Quale musica potrà meglio accompagnarci?
Vita d’artista
LES FEUILLES MORTES
Il compositore ungherese di canzoni e di musiche da film Joseph Kosma, ha preso il testo di una poesia di Jacques Prevert e l’ha musicato in modo splendido. La metafora della caducità della vita umana è paragonata alle foglie, e questo è un topos antico, che possiamo ritrovare già nell’Iliade. Ma se questa metafora, a noi uomini d’oggi, ancora ci stimola la malinconia allora vuol dire che continua ad essere efficace. Gli artisti insistono su questo aspetto poetizzante, senza ulteriori slanci verso un luogo metafisico. Detto di passaggio: il compositore Kosma venne considerato fra gli autori della cosiddetta ‘musica degenerata’ (Entartete musik), durante il periodo nazista, quindi non poteva essere eseguita.
RIFLETTIAMO?
Augusto Cavadi ci ha recentemente ricordato la frase del poeta Rilke: “Noi siamo solo la buccia e la foglia. /La grande morte che ognuno ha in sé/ è il frutto attorno a cui tutto cambia”.
Siamo pronti noi a partecipare al grande frutto?
MORTE E TRASFIGURAZIONE
Richard Strauss è stato uno dei grandi compositori del Novecento. Ha scritto notevoli poemi sinfonici (utilizzati anche come colonne sonore. Ci ricordiamo l’inizio del film 2001, Odissea nello spazio?), che vogliono essere proprio dei racconti musicali. Quindi non musica astratta, o come si dice fra gli specialisti, ‘pura’. Qui presento un momento di un poema sinfonico (non famoso come Don Giovanni o Also sprach Zarathustra) ma ‘Morte e trasfigurazione’. Il titolo inganna. Non c’è il sacro, il divino, ma la descrizione di un artista che sta per morire, sul suo capezzale. Qualcuno ha provato a descrivere i singoli momenti: Mentre l’uomo, l’artista, giace morente, i pensieri della sua vita riaffiorano nella memoria: l’innocenza della sua infanzia, le lotte della sua virilità, il raggiungimento dei suoi obiettivi mondani e, alla fine, il conseguimento della sospirata trasfigurazione “dall’infinita grandezza del cielo”. Perché un artista, e non un semplice essere umano? Probabilmente una visione aristocratica, nicciana, è presente in Strauss e vuole marcare le differenze. Ascoltiamo il momento preciso in cui riaffiorano i bei momenti della giovinezza: Allegro molto agitato (La battaglia tra la vita e la morte non offre alcuna tregua all’uomo). Strauss scrisse in altro poema sinfonico che descrive, in modo ancora più esteso, i momenti di un artista (sarà lui?) che si intitola, significativamente, ‘Vita d’eroe’. Ancor più sorprendente è sapere che Strauss, sul letto di morte, circa sessant’anni dopo questa composizione, dirà a sua nuora: “Come è strano, Alice: morire è proprio come l’ho composto in Morte e trasfigurazione”!!
RIFLETTIAMO?
Abbiamo vissuto, intessendo i nostri accadimenti, come un’opera d’arte?
Vita vissuta
Il morire di tre grandi compositori
Passiamo adesso – è quasi d’obbligo – a quei momenti, realmente vissuti da alcuni compositori, quelli dello spegnimento, dell’approssimarsi alla fine. Sto parlando di tre grandi: Bach, Händel, Mozart.
L’arte della fuga
Bach ha preferito, sebbene cieco e consapevole del trapasso imminente, dettare un’opera teorica a un suo allievo, che è tutta un gioco matematico, ad incastri, con una melodia ostinata, che viene variata, girata, aumentata, diminuita. Rimase incompiuta, ma già dura quasi due ore! Fosse dipeso da lui avrebbe continuato chissà per quanto altro tempo. È musica pura, senza indicazione degli strumenti che dovrebbero suonarla. Era tutto nella sua testa, la partitura. Non c’è quasi bisogno della materia delle corde, dei fiati, dei legni, dei martelletti…
RIFLETTIAMO?
L’arte della fuga è una fuga davanti alla morte? La teoria, che nutre la contemplazione, è il miglior conforto, nel momento del trapasso?
La resurrezione di Händel secondo Stefan Zweig
Händel nacque lo stesso anno in cui nacque Bach (ma morì nove anni dopo), furono operati agli occhi dallo stesso medico (e peggiorò ad entrambi la vista). Ma mi voglio soffermare sulla descrizione che dà lo scrittore Austriaco Stefan Zweig della quasi sovrumana Potenza creativa di Händel. Descrive prima una grave malattia del compositore, probabilmente a seguito di un infarto, che dovrebbe condurlo alla morte certa, secondo I medici del tempo. Ma lui si oppone fermamente, perché ha in mente l’opera della sua vita, che ancora non ha composto! La volontà vince sul destino. E viene partorito l’oratorio il Messia. Questa è la resurrezione di Händel, sfida la morte e ci lascia un capolavoro.
“E davvero la sua straordinaria forza di volontà ebbe potere sulla morte, così come prima l’aveva avuta sulla vita.”
Il momento culminante di questa straordinaria volontà è il momento dell’Alleluia:
“Ed eccola qui scritta, ecco che risuona la parola ripetibile all’infinito in infinite variazioni: “Alleluja! Alleluja! Alleluja!”. Sì, raccogliere in essa tutte le voci della terra, le voci chiare e le scure, quelle robuste degli uomini e quelle più morbide delle donne, dare loro corpo, volume, estensione, legarle e disgiungerle nel ritmo del coro, farle salire e scendere lungo la scala di Giacobbe delle note, blandirle con le dolci arcate del violino, spronarle con aspri squilli di fanfara, lasciarle spumeggiare nel fragore dell’organo: “Alleluja! Alleluja! Alleluja!”. Fare di questa parola un grido di gratitudine, di esultanza, che riecheggi dalla terra al cielo fino a raggiungere il Creatore dell’universo. L’intensa emozione gli fece salire le lacrime agli occhi.”
Tutti conosciamo il coro dell’Alleluia. Ascoltiamolo!
RIFLETTIAMO?
Siamo pronti a lasciare un nostro capolavoro, facendo un dispetto alla morte?
REQUIEM
Qui attingiamo a molto di romanzato. Mozart ebbe una breve vita (solo 35 anni), ma molto intensa dal punto di vista creativo. Sembra, secondo racconti non verificati, che il compositore fosse consapevole di approssimarsi alla morte. Gli venne commissionato un requiem da parte di un nobile, che doveva rimanere anonimo. Mozart investì emotivamente molto nella stesura, nonostante stesse molto male. Era molto debole, quasi costantemente giaceva a letto. Sembra che proprio il compositore più in vista del periodo, l’italiano Antonio Salieri, potesse aiutarlo nella composizione. È stata anche colpa di Puskin se si è tramandata l’immagine di un Salieri invidioso di Mozart, al punto da esaurire le sue ultime forze, pur di vedere la partitura del Requiem. Il film ‘Amadeus’, di Milos Forman, riprende questa interpretazione. Vediamo proprio il momento più febbrile del film.
RIFLETTIAMO?
Altri, nel momento della nostra massima debolezza, approfitteranno di noi?
Annullamento
Le quattro morti di Musorgskij
Cosa deve aver immaginato Musorgskij quando ha ascoltato le poesie del giovane Kutuzov durante una delle consuete serate d’arte presso casa Stasov? Così, tra il 1875 e il 1877 scrive i Canti e danze della morte, dove intona e recita versi vari come una vita intera, eppure unificati da un velo di gravità solenne ed estrema. La morte si dà in quattro modi: dondola, carezza, accoglie o strappa.
- Ninna Nanna: Morte che culla
- Serenata: Morte che seduce
- Trepak: Morte che consola
- Il Generale: Morte guerriera
Ascolteremo il quarto brano. La morte più assurda, nella più insensata delle azioni umane: la guerra. Cosa accade in battaglia? In poche ore molti esseri umani abbandonano, in modo cruento, questa terra. La morte viene descritta esultare quando si scontrano gli eserciti, addirittura è ubriaca per un così generoso raccolto: tanti verranno chiusi nella terra del campo di battaglia, e i passi dei sopravvissuti infieriscono ancora. Peggio del patibolo, perché quasi sempre si diventa irriconoscibili, e si cade nell’anonimato.
RIFLETTIAMO?
Siamo pronti a perdere la nostra identità, soprattutto in modo violento?
IL VECCHIO FRACK
Non è comune, né scontato, che nella musica cosiddetta leggera, di consumo (tutti termini inappropriati dati i vari gradi di serietà e di priorità o meno alla commercializzazione) il tema della finitudine, della morte sia presente. Forse non attrae i giovani, i maggiori fruitori, né chi l’ascolta per distrarsi. Eppure, c’è chi ha osato molto. È il nostro Domenico Modugno che addirittura, in modo molto elegante, descrive un suicidio. La canzone del ‘vecchio frack’ è attraversata da una intensa nostalgia: a mezzanotte solo un uomo elegante, sta camminando:
- Solo va un uomo in frack
- Ha il cilindro per cappello
- Due diamanti per gemelli
- Un bastone di cristallo
- La gardenia nell’occhiello
- E sul candido gilet
- Un papillon
- Un papillon di seta blu
Ma ecco, in modo molto delicato, capiamo l’evento. Si è suicidato, l’uomo misterioso. Galleggiano, sul fiume, le sue cose:
- Sul fiume silenzioso
- E nella luce bianca
- Galleggiando se ne va
- Un cilindro
- Un fiore e un frack
- Galleggiando dolcemente
- E lasciandosi cullare
- Se ne scende lentamente
- Sotto i ponti verso il mare
- Verso il mare se ne va
- Chi mai sarà, chi mai sarà
- Quell’uomo in frack
In effetti, forse sappiamo chi è quest’uomo misterioso. Dovrebbe essere il nobile siciliano Raimondo Lanza di Trabia, che nel 1954 si era suicidato, lanciandosi dalla finestra del suo palazzo romano. La canzone è dell’anno successivo.
RIFLETTIAMO?
Può, il momento disperante del suicidio, suscitare malinconia, e non rabbia o invettiva per la scelta?